La birra, lo sappiamo, è una bevanda ottenuta dalla fermentazione dei cereali, in totalità o in parte dall'orzo. Fin dai tempi dell’antica Grecia e Roma (popoli che non apprezzavano un granché la birra, preferendo il vino) era infatti chiamata “vino d’orzo”. Una denominazione che, secoli più tardi, è ricomparsa nelle isole britanniche per dare questa volta il nome ad uno stile di birra: il Barley Wine (o Barleywine).

 

Perché si chiama Barley Wine e da dove arriva

Il termine Barley Wine (Vino d'Orzo) iniziò ad essere utilizzato in Gran Bretagna nel XVIII secolo, per quanto birre con simili caratteristiche venissero prodotte già in precedenza. Per fare concorrenza sul mercato ai vini francesi, all’epoca popolari oltremanica nonostante la storica rivalità tra i due Paesi, i birrai iniziarono a rendere ancor più ricche e strutturate le loro birre più forti, spesso facendole maturare a lungo in botti di vino o whisky di cui assumevano in parte gli aromi e i sapori. In più la lunga bollitura necessaria a concentrare il mosto e renderlo più ricco di zuccheri caramellava questi ultimi aggiungendo ulteriore intensità di sapore al prodotto finale e rendendola una birra scura

La prima birra ad essere stata chiamata Barley Wine nel 1872 fu la Bass, con il suo Barley Wine N°1; e all’epoca in realtà il termine non indicava uno stile preciso, ma semplicemente la birra più forte prodotta da un certo birrificio. Anche al giorno d’oggi, per quanto lo stile sia più riconosciuto, rimane comunque piuttosto variegato: basti pensare che nel 1950, con il Gold Label della Tennent, hanno fatto il loro ingresso sul mercato anche le birre Barley Wine di colore chiaro, aggiungendo una variabile in più.

 

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Barley Wine: le caratteristiche

Tutte le birre di questo stile hanno comunque in comune un ricco aroma di grano maltato, con note di caramello e toffee, emergono poi note di whisky, porto o sherry nelle versioni più invecchiate. A volte si possono aggiungere dei toni di frutta sotto spirito o frutta secca, di biscotto o di pane tostato; mentre la luppolatura, per quanto possa essere anche significativa per bilanciare la dolcezza con note erbacee o terrose, non risulta mai di particolare evidenza.

Anche il corpo di questo tipo di birra è assai ricco. In bocca risulta pieno e caldo, spesso con note alcoliche – del resto la birra Barley Wine può superare tranquillamente i 10 gradi alcolici; Sul finale rilascia una persistenza dì dolce ma mai stucchevole, andando a bilanciare con il luppolo gli eccessi zuccherini. Infine, va ricordato che le Barley Wine presentano una carbonazione assai lieve, a volte pressoché nulla: soprattutto se vengono fatte invecchiare in botte, l’anidride carbonica tende infatti ad evaporare.

A chi lo assaggia per la prima volta, il Barley Wine potrebbe quasi non sembrare birra: specie le versioni più forti, infatti, ricordano molto il whisky – del resto ricordiamo che il whisky è parente stretto della birra, trattandosi di un distillato d’orzo. Il suggerimento però, a differenza dei whisky, è quello di non berlo con ghiaccio: questa birra infatti si apprezza al meglio ad una temperatura di 14-15 gradi. Sebbene molti consiglino di berlo da solo come birra da meditazione per poterne cogliere al meglio la complessità, si possono comunque anche elaborare degli abbinamenti molto interessanti: sopratutto con dolci con frutta secca o spezie – ottimi i cantuccini o il panpepato – e cioccolato fondente.